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30 de noviembre de 2012

Violenza di genere e amore romantico


Violenza di genere e amore romantico

di Coral Herrera Gómez






L'amore romantico è lo strumento più potente per controllare e sottomettere le donne, soprattutto nei paesi in cui sono cittadine di pieno diritto e dove non sono, legalmente, proprietà di nessuno. Molti sono coloro che sanno che unire l'affetto al maltrattamento di una donna serve a distruggerne l'autostima e provocarne la dipendenza, perciò utilizzano il binomio maltrattamento-buone maniere per farle innamorare perdutamente e poter così domarle.






Un esempio ci è dato da Kalimán, protettore messicano che spiega come riesce a far prostituire le sue donne: sceglie le più povere e bisognose, preferibilmente quelle che desiderano uscire dall'inferno domestico in cui vivono, o quelle che hanno bisogno urgentemente di affetto perché si ritrovano socialmente isolate. Lo sfruttatore segue la scaletta alla perfezione: innanzitutto, la colma di amore, attenzioni e regali per alcuni mesi, facendole credere di essere la donna della sua vita e che sempre avrà denaro disponibile per i suoi bisogni e i suoi capricci. Poi, la rinchiude in un postribolo affinché le ragazze “le facciano la terapia”; se lei resiste, pesta i piedi, si arrabbia, la cosa migliore è lasciare che le passi da sola. Mai chiederle perdono. È necessario che soffra finché il suo orgoglio crolla e si mette in ginocchio. Il macho deve mantenersi fermo, mostrare il suo disprezzo, andarsene nei momenti di massima rabbia e non impietosirsi mai davanti alle lacrime della sua donna. Questa tecnica fa sì che le donne acconsentano ai suoi desideri e lavorino per lui in strada o nei bordelli; la maggior parte non ha dove andare, e secondo i protettori, una volta assaporato il lusso, non vogliono ritornare alla povertà.

Questa relazione di orrore è molto comune nel mondo intero. Non solo sfruttatori e protettori, ma anche numerosi fidanzati e mariti trattano le donne come cavalle selvagge che bisogna addomesticare affinché siano fedeli, sottomesse e obbedienti. Molti continuano a pensare che le donne siano nate per servire o per amare gli uomini. E anche molte donne continuano a crederlo.

“Per amore” noi donne ci ancoriamo a situazioni di maltrattamento, abuso e sfruttamento. “Per amore” ci uniamo a individui orrendi che all'inizio ci sembrano principi azzurri, ma poi ci imbrogliano, si approfittano di noi o vivono sulle nostre spalle. “Per amore” sopportiamo insulti, violenza, disprezzo. Siamo capaci di umiliarci “per amore” e, a volte, di vantarci della nostra intensa capacità di amare. “Per amore” ci sacrifichiamo, ci lasciamo annullare, perdiamo la nostra libertà, perdiamo la nostra rete sociale e affettiva. “Per amore” abbandoniamo i nostri sogni e i nostri obiettivi, “per amore” competiamo con le altre donne e diventiamo nemiche per sempre, “per amore” lasciamo tutto...

Questo “amore”, quando arriva, ci fa sentire donne vere, degne, pure, dà senso alle nostre vite, ci dà uno status, ci eleva rispetto al resto dei comuni mortali. Questo “amore” non è solo amore: è anche salvezza. Le principesse dei racconti non lavorano: sono mantenute dai principi. Nella nostra società, essere amate è sinonimo di successo sociale, quando un uomo ti sceglie ti  attribuisce valore, ti rende speciale, ti rende madre, ti fa signora.

Questo “amore” ci porta a delle contraddizioni assurde: “dovrei lasciarlo, ma non posso perché lo amo/ perché col tempo cambierà/ perché mi vuole bene/ perché è quello che c'è”. È un “amore” basato sulla conquista e la seduzione, su una serie di miti che ci schiavizzano, come quello de “l'amore può tutto”, o “una volta trovata la tua metà, è per sempre”. Questo “amore” ci promette molto ma ci riempie di frustrazioni, ci incatena a persone alle quali concediamo il totale potere su di noi, ci sottomette a ruoli tradizionali, ci sanziona quando non ci adeguiamo ai canoni stabiliti per noi.

Questo “amore” ci trasforma anche in persone dipendenti ed egoiste, perché finiamo per utilizzare strategie atte a ottenere ciò che aneliamo, perché ci insegnano che una persona dà per ricevere e perché speriamo che l'altro “abbandoni il mondo” come l'abbiamo fatto noi. È tanto l'“amore” che proviamo, che ci trasformiamo in persone amareggiate che vomitano quotidianamente rimproveri e proteste. Se qualcuno non ci ama come amiamo noi, questo “amore” ci rende vittime e ricattatrici (“io do tutto per te”). Questo “amore” ci porta all'inferno quando non siamo corrisposte o quando ci sono infedeli, siamo sole al mondo, isolate dalle amiche e dagli amici, dai familiari o vicini, preoccupate per un individuo che pensa di avere il diritto di decidere per noi.

Per tale motivo, questo “amore” non è amore. È dipendenza, è bisogno, è paura della solitudine, è masochismo, è utopia collettiva, ma non è amore. Amiamo in modo patriarcale: il romanticismo patriarcale è un meccanismo culturale per tramandare il patriarcato, molto più potente delle leggi: la disuguaglianza si annida nei nostri cuori. Amiamo a partire dal concetto di proprietà privata e sulla base della disuguaglianza tra uomini e donne. La nostra cultura idealizza l'amore femminile come amore incondizionato, dedito all'abnegazione, remissivo, sottomesso e soggiogato. Alle donne s'insegna ad aspettare e amare un uomo con la stessa devozione con cui amiamo Dio o aspettiamo Gesù Cristo.

A noi donne hanno insegnato ad amare la libertà dell'uomo, non la nostra. Le grandi figure della politica, dell'economia, della scienza o dell'arte sono state sempre uomini. Ammiriamo gli uomini e li amiamo nella misura in cui sono potenti; le donne prive di risorse economiche e proprietà hanno bisogno di un uomo per potere sopravvivere.

La disuguaglianza economica per questioni di genere porta alla dipendenza economica e sentimentale delle donne. Gli uomini ricchi ci appaiono attraenti perché possiedono denaro e opportunità e perché ci hanno insegnato, da piccole, che la salvezza sta nel trovare un marito. Non ci hanno insegnato a lottare per l'uguaglianza affinché si possa godere degli stessi diritti; ma a essere belle e trovare qualcuno che ti mantenga, che ti desideri e ti protegga, anche se per lui devi rimanere senza amiche, devi unirti a un uomo violento, sgradevole, egoista e sanguinario. L'esempio più chiaro ci è dato dai capi narcos: hanno tutte le donne che vogliono, tutte le auto, la droga, la tecnologia che desiderano, hanno tutto il potere per attrarre ragazze sole senza risorse o opportunità.

Questa disuguaglianza strutturale, che esiste tra donne e uomini, si perpetua attraverso la cultura e l'economia. Se godessimo delle stesse risorse economiche e potessimo crescere i nostri bambini in comunità, condividendo risorse, non avremmo relazioni basate sulla necessità; credo che ci ameremmo con molta più libertà, senza interessi economici di mezzo. E diminuirebbe drasticamente il numero di adolescenti povere che pensano che facendosi mettere incinta si assicureranno l'amore del macho, o almeno gli alimenti per vent'anni della loro vita.

Anche agli uomini insegnano ad amare partendo dalla disuguaglianza. Ciò che per prima cosa apprendono è che una donna che si sposa con te è “la tua donna”, qualcosa di simile a “mio marito” però peggio. I maschi hanno due opzioni: o si fanno desiderare dall'alto(macho alfa), o si mettono in ginocchio davanti all'amata come segnale di arresa (“mezza cartuccia”). Gli uomini sembrano mantenersi tranquilli mentre vengono amati, visto che la tradizione insegna loro che non devono dare troppa importanza all'amore nelle loro vite né lasciare che le donne invadano troppo i loro spazi e, tantomeno, esprimere in pubblico i loro sentimenti.

Tutto questo contenimento viene meno quando la moglie decide di separarsi e intraprendere da sola il proprio cammino. Poiché nella nostra cultura viviamo il divorzio come un trauma totale, gli strumenti di cui dispongono i maschi per farvi fronte sono pochi: possono rassegnarsi, deprimersi, autodistruggersi (alcuni si suicidano, altri si fanno coinvolgere in qualche rissa mortale, altri guidano a tutta velocità in senso contrario di marcia) o reagiscono con violenza contro le donne che dicono di amare. Questo succede quando entra in gioco la maledetta questione dell'”onore”, il massimo esponente della doppia morale: gli uomini perseguitano naturalmente le femmine, le femmine devono morire assassinate se cedono ai propri desideri. Per gli uomini tradizionalisti, la virilità e l'orgoglio sono valori primari: si può vivere senza amore, ma non senza onore.





Milioni di donne muoiono quotidianamente per “crimini di onore” per mano dei loro mariti, padri, fratelli, amanti o per suicidio (obbligate dalla loro stessa famiglia). I motivi: aver parlato con un uomo che non è tuo marito, essere stata violentata o volere il divorzio. Un solo pettegolezzo potrebbe uccidere una qualsiasi donna. E queste donne non possono intraprendere una vita propria al di fuori della loro comunità: non possiedono denaro, non hanno diritti, non sono libere, non possono lavorare fuori casa. Non hanno modo di scappare.
Tuttavia, anche le donne che godono di diritti si ritrovano intrappolate nelle loro relazioni matrimoniali o sentimentali. Donne povere e analfabete, donne ricche e colte: la dipendenza emozionale femminile non fa distinzione tra classi sociali, etnie, religioni, età o orientamento sessuale. Sono molte le donne che in tutto il mondo si sottomettono alla tirannia del “sopporta per amore”.

L'amore romantico è, in tal senso, uno strumento di controllo sociale e anche un anestetizzante. Ce lo rifilano come un'utopia raggiungibile, ma mentre ci incamminiamo verso di essa, cercando la relazione perfetta che ci renda felici, riteniamo che il miglior modo di entrare in relazione sia perdere la libertà personale e rinunciare a tutto per assicurare l'armonia coniugale.

In tale supposta “armonia”, gli uomini tradizionalisti desiderano mogli tranquille che li amino senza chiedere nulla (o molto poco) in cambio. Quanto più le donne sentono la propria autostima deteriorata, tanto più si vittimizzano e sono dipendenti. Per tale motivo, a loro costa di più comprendere che l'amore vero non ha nulla a che vedere con la sottomissione, né col sacrifico né con la sopportazione.

La finanza, la Chiesa, le banche, la televisione, ecc. penalizzano   il nubilato e promuovono il matrimonio eterosessuale, così che sembra un obbligo essere felici o andare controcorrente. Quando l'amore finisce o si rompe, lo viviamo come un fallimento o come un trauma: siamo invase dalla paura, dalla sensazione di abbandono, di solitudine, siamo assalite dall'angoscia al vederci sole in un mondo tanto individualista. Quando ci lasciano o lasciamo il nostro compagno, molti di noi si disperano completamente: gridiamo, pestiamo i piedi, ricattiamo, ci vittimizziamo, ci colpevolizziamo, minacciamo. Non abbiamo strumenti per accettare le perdite. Non sappiamo separare i nostri cammini, non sappiamo trattare con affetto colui che vuole allontanarsi da noi o che ha trovato un nuovo compagno. Non sappiamo come gestire le emozioni: per ciò è tanto frequente imbattersi in minacce, insulti, rimproveri, vendette e azioni malevole tra coniugi.

E per tale motivo, molte donne vengono anche punite, maltrattate e assassinate quando decidono di separarsi e iniziare di nuovo la loro vita. La quantità di uomini che non possiedono strumenti per affrontare una separazione è maggiore: da piccoli apprendono che devono essere i “re” e che i conflitti si risolvono con la violenza. Se non lo apprendono a casa lo apprendono dalla televisione: i loro eroi si fanno giustizia mediante la violenza, imponendo la loro autorità. I loro eroi non piangono, a meno che non raggiungano il loro obiettivo (come vincere una coppa di calcio).

Ciò che ci insegnano nei film, nei racconti, nei romanzi, nelle serie televisive è che le fidanzate degli eroi aspettano con pazienza, li adorano e se ne prendono cura, e sono disponibili ad abbandonarsi all'amore quando loro hanno tempo. Le ragazze della pubblicità offrono i loro corpi come mercanzia, le brave ragazze dei film offrono il loro amore come premio al coraggio maschile. Le brave ragazze non abbandonano il loro sposo. Le cattive ragazze, che credono di essere padrone del proprio corpo e della propria sessualità, che si credono padrone della propria vita, o che si ribellano, ottengono sempre il castigo meritato (il carcere, la malattia, l'ostracismo sociale o la morte).


Le cattive ragazze non solo sono odiate dagli uomini, ma anche dalle brave donne, perché destabilizzano tutto l'ordine “armonioso” delle cose quando prendono decisioni e rompono i legami. I mezzi di comunicazione ci presentano spesso i casi di violenza contro le donne come crimini passionali e giustificano gli omicidi o le torture con espressioni come: “lei non era una persona normale”, “lui aveva bevuto”, “lei stavo con un'altra persona”, “quando se ne accorse, lui impazzì”. E se l'ha uccisa, è successo perché “qualcosa avrà fatto”. La colpa ricade quindi su di lei e la vittima è lui. Lei ha fatto l'errore e merita il castigo, lui ha diritto a vendicarsi per calmare il proprio dolore e ricostruire il proprio orgoglio.

La violenza è una componente strutturale delle nostre società diseguali, perciò è necessario che l'amore non venga confuso con il possesso, così come non dobbiamo confondere la guerra con gli “aiuti umanitari”. È un mondo in cui utilizziamo la forza per imporre mandati e controllare la gente, in cui esaltiamo la vendetta come meccanismo per gestire il dolore, in cui usiamo il castigo per correggere devianze e la pena di morte per confortare gli offesi; diventa necessario più che mai imparare a volerci bene.
È vitale apprendere che l'amore deve essere basato sulle buone maniere e sull'uguaglianza. Non solo verso il coniuge, ma verso l'intera società. È fondamentale stabilire relazioni paritarie, in cui le differenze servano per arricchirci reciprocamente e non per sottometterci gli uni agli altri. È altrettanto essenziale  rendere più forti le donne affinché non vivano sottomesse all'amore e insegnare anche agli uomini a gestire le loro emozioni affinché possano controllare l'ira, l'impotenza, la rabbia e la paura e capiscano che le donne non sono oggetti personali, ma compagne di vita. Inoltre, dobbiamo proteggere i bambini e le bambine che soffrono la violenza maschilista in casa, perché devono sopportare le umiliazioni e le lacrime della loro eroina, la mamma, perché devono sopportare le grida, le botte e la paura, perché devono vivere terrorizzati, perché devono rimanere orfani, perché il loro mondo è un inferno.

È urgente metter fine al terrorismo maschilista: in Spagna ha ucciso molto più del terrorismo dell'ETA. Nonostante ciò, la gente si indigna maggiormente di fronte a quest'ultimo, esce per strada a protestare contro la violenza, si prende cura delle vittime. Il terrorismo maschilista è considerato una questione privata che riguarda determinate donne; per tale motivo, molta gente che avverte grida di aiuto non reagisce, non denuncia, non interviene. Lanciando un'occhiata alle cifre, possiamo renderci conto che il  privato è politico, e anche economico: la crisi accentua il terrore, quindi molte donne non pensano a separarsi e il divorzio resta una scelta solo per le coppie che possono permetterselo economicamente. Una prova di ciò è che ora si denunciano meno casi e in diverse occasioni le donne non vanno fino in fondo; con la tassa giudiziaria approvata in Spagna, le donne più povere non prospettano nemmeno di andare a denunciare: appellarsi alla giustizia è cosa da ricche.

È urgente lavorare con gli uomini (prevenzione e trattamento) e proteggere le donne e i loro figli/figlie. Dobbiamo rendere più forti le donne, ma dobbiamo lavorare anche con gli uomini, altrimenti tutta la lotta sarà invano. È necessario promuovere politiche pubbliche che abbiano un'impostazione di genere integrale ed è necessario che i mezzi di comunicazione aiutino a suscitare un rifiuto generalizzato verso questa forma di terrore, presente in tante famiglie del mondo.

È necessario un cambiamento sociale e culturale, economico e sentimentale. L'amore non può essere basato sulla proprietà privata e la violenza non può essere uno strumento per risolvere i problemi. Le leggi contro la violenza di genere sono molto importanti, ma devono essere accompagnate da un cambiamento delle nostre strutture emozionali e sentimentali. Affinché ciò sia possibile, dobbiamo cambiare la nostra cultura e promuovere altri modelli amorosi che non siano basati sulla lotta per il potere per dominarci e sottometterci. Dobbiamo promuovere altri modelli femminili e maschili, che non siano basati sulla fragilità di alcune e la brutalità di altri.

Dobbiamo imparare a rompere con i miti, a disfarci delle imposizioni di genere, a dialogare, a godere della gente che ci accompagna nel cammino, a unirci e separarci in libertà, a trattarci con rispetto e tenerezza, ad assimilare le perdite, a costruire buone relazioni. Dobbiamo rompere con i circoli di dolore che ereditiamo e riproduciamo inconsciamente e dobbiamo liberare le donne, gli uomini e coloro che non sono né una cosa né l'altra dal peso delle gerarchie, della tirannia dei ruoli e della violenza.






Dobbiamo lavorare molto affinché l'amore si espanda e l'uguaglianza sia una realtà, al di là dei discorsi. Per tale motivo, questo testo è dedicato a tutte le donne e gli uomini che lottano contro la violenza di genere in tutte le parti del mondo: gruppi di donne contro la violenza, gruppi di auto-riflessione maschile, autori/autrici che fanno ricerca e scrivono su questo fenomeno, artisti che lavorano per rendere visibile questa piaga sociale, politici donne e politici uomini che lavorano per promuovere l'uguaglianza, attiviste che scendono in strada per condannare la violenza, maestri e professoresse che svolgono il loro lavoro di sensibilizzazione nelle aule, cyber-femministe che raccolgono firme per rendere visibili gli assassinii e sollecitare l'attuazione di leggi, leader donne e leader uomini che lavorano nelle comunità per sovvertire il maltrattamento e la discriminazione delle donne. Il miglior modo di lottare contro la violenza è chiudere con la disuguaglianza e il maschilismo: analizzando, rendendo visibili, decostruendo, denunciando e riapprendendo insieme.


Traduzione di Rossella Covelli


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il manifesto degli amori queer